Sono stati resi noti oggi i risultati dell’indagine ANIMALI IN CITTÀ giunta quest’anno alla decima edizione. Dall’analisi condotta a livello nazionale, Legambiente misura le performance 2020 di Comuni e Aziende sanitarie nella gestione degli animali nei centri urbani.

Dall’anagrafe unica nazionale per gli animali d’affezione a mille strutture veterinarie pubbliche, le richieste di Legambiente sono sei (elenco completo a fine articolo).


Performance per lo più fallimentari, ancora una volta disomogenee a livello nazionale, spesso inefficaci nel rispondere alle sfide che investono i territori e la loro vivibilità: nell’anno della pandemia, l’attenzione e la cura della pubblica amministrazione per gli animali risultano ancora insufficienti e inadeguate a garantire il benessere nei centri urbani. È quanto emerge dal X rapporto nazionale Animali in città elaborato da Legambiente con il patrocinio di Ministero della Salute, Anci, Conferenza delle regioni e delle province autonome, Enci, Fnovi, Anmvi e Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva e presentato simbolicamente oggi nel giorno di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali domestici. Anche in questa edizione l’associazione premia, in parallelo, quelle realtà virtuose che si sono distinte nell’offerta di servizi e in azioni dedicate alla prevenzione e alla migliore convivenza con gli animali d’affezione, padronali o selvatici in città. Per il 2020 l’indagine evidenzia le disparità tra Nord e Sud e il permanere di problematiche che, complice la crisi sanitaria e socio-economica, rischiano di acuirsi: un’Italia indietro sulle sterilizzazioni di cani e gatti, dove persiste la piaga dei cani vaganti che rappresentano il maggior costo per la collettività, manchevole nell’attuare regolamenti che favorirebbero una più armonica e sicura convivenza con gli animali, con uno scarso livello di conoscenza della biodiversità animale che sempre più spesso abita i territori urbanizzati. Ancora una volta, insomma, un Paese che non agisce come dovrebbe sul fronte fondamentale della prevenzione. Di contro, nell’anno della pandemia si registra in positivo un aumento significativo del numero delle adozioni dei gatti.

“Prendersi cura di persone e animali è prendersi cura del pianeta e del benessere di tutti – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – Il nostro rapporto focalizza l’attenzione sui dati di Comuni e Aziende sanitarie relativi ai servizi e alle esigenze nel vivere la relazione con gli animali d’affezione e da compagnia che riguarda oltre 30 milioni di italiani. Esigenze che, se rimangono disattese, possono causare costi sanitari e sociali importanti. C’è tanto da fare, ma le esperienze migliori citate nel nostro rapporto dimostrano che è possibile, compiendo i giusti passi. Legambiente avanza quindi sei proposte concrete e misurabili affinché l’importanza dell’approccio One Health trovi concreta attuazione, anche attraverso la cura del benessere animale. Dall’anagrafe unica nazionale per tutti gli animali d’affezione o da compagnia ai patti di comunità per la tutela e la cura degli animali; dal potenziamento del servizio pubblico, con nuovo personale e maggiori strutture fino alla realizzazione di aree e servizi dedicati nelle aree urbane; infine ma non meno importante la valorizzazione del ruolo del volontariato”.

“Il tema della relazione con gli animali, a partire da quelli d’affezione o da compagnia, è tanto urgente quanto centrale e strettamente correlato al vero benessere umano e al recupero dell’equilibrio nelle relazioni tra uomo e ambiente, ancor più all’affacciarsi di un’era pandemica che vede aumentare crisi sanitarie e disagio socio-economico tra la popolazione – dichiara Antonino Morabitoresponsabile nazionale Cites, Fauna e Benessere animale di Legambiente – Animali in Città conferma l’urgenza di una rinnovata visione e strategia condivise tra i diversi attori istituzionali e sociali responsabili di tali aspetti, per superare le criticità che vedono involontari protagonisti i nostri amici animali e richiedono di agire in sinergia sui territori, mettendo in atto i non più procrastinabili interventi di prevenzione del randagismo e miglioramento delle condizioni di vita degli animali padronali e non, che condividono lo stesso nostro tessuto urbano”.

All’indagine di Legambiente hanno risposto in modo completo 656 amministrazioni comunali (l’8,3% del campione contattato), tra cui il 50% dei Comuni capoluogo, e 50 aziende sanitarie (il 44,6% del campione). Quattro le macroaree di valutazione delle performance: quadro delle regole (regolamenti comunali e/o ordinanze sindacali), valevole solo per i Comuni; risorse impegnate e risultati ottenuti; organizzazione delle strutture e servizi al cittadinocontrolli.

Quasi la metà (il 47,4%) delle amministrazioni comunali rispondenti dichiara di avere attivato un ufficio o un servizio dedicato agli animali, oltre i tre quarti (il 76%) delle aziende sanitarie di avere almeno un canile sanitario e/o un ufficio di igiene urbana veterinaria: ciononostante, poco meno di un Comune su 13 (il 7,8%) raggiunge una performance almeno sufficientepiù di quattro su cinque aziende sanitarie (l’82%) si attestano sui medesimi livelli. Il resto del campione contattato in larga parte non risponde o registra performance valutate da insufficienti a pessime.

Le migliori performance si registrano a Prato, Verona e Modena, rispettivamente al primo, secondo e terzo posto della classifica riguardante i Comuni, nell’ATS Brescia, ATS della Montagna e Asl Vercelli per quanto concerne, invece, le aziende sanitarie. Guardando ai costi sostenuti da Comuni e aziende sanitarie per i servizi ai cittadini e ai loro amici a quattro zampe, nel 2020 la spesa pubblica nel settore (in calo rispetto al 2019) è stimabile in quasi 193 milioni di euro, pari a 14 volte la somma impegnata per tutte le 31 aree marine protette in Italia o a 55 volte quella destinata alle 19 riserve naturali statali. La spesa media pro capite si attesta invece a 2,4 euro per i Comuni e a 0,85 euro per le aziende sanitarie. Vale la pena sottolineare come la gran parte dei costi in Italia sia assorbita dalla gestione dei cani presso i canili rifugio, per cui i Comuni spendono ben il 61,8% del bilancio destinato al settore: strutture indispensabili nel modello attuale, ma oggettivamente fallimentari rispetto a obiettivi credibili di benessere animale e contenimento delle spese a carico delle pubbliche amministrazioni.

Nell’anno della pandemia, secondo i dati forniti dai Comuni, cresce di oltre tre volte, rispetto al 2019, il numero di gatti adottati (42.081 nel 2020, contro i 12.495 del 2019), parallelamente, tuttavia, si assiste a un calo nelle adozioni dei cani nei canili che diminuiscono del 20% rispetto all’anno precedente (dalle 19.383 nel 2019, alle 16.445 nel 2020), coerentemente con i dati dichiarati di nuove iscrizioni in anagrafe canina (85.432 nel 2019, contro le 67.529 nel 2020). A livello nazionale, il rapporto tra cani iscritti all’anagrafe degli animali d’affezione e cittadini è di un cane ogni 4,7 abitanti, con Umbria e Sardegna che primeggiano in positivo (rispettivamente un cane iscritto ogni due cittadini e un cane ogni 2,8), e Puglia e Calabria fanalini di coda (rispettivamente un cane iscritto ogni 7,4 e ogni 9,6 cittadini). Guardando agli amici felini, il rapporto nazionale è di un gatto iscritto all’anagrafe degli animali d’affezione ogni 72,4 cittadini: a primeggiare, in questa categoria, sono Valle d’Aosta (un gatto ogni 31,4 abitanti) e PA Bolzano (un gatto ogni 32,6 cittadini).

Il capitolo del controllo demografico rimane senz’altro tra i più spinosi: se negli ultimi 30 anni le popolazioni di cani e gatti sono state lasciate crescere senza alcuna pianificazione, allo stesso modo si sta assistendo al proliferare in città di ulteriori specie animali da compagnia (spesso selvatiche) quali roditori, uccelli, invertebrati, senza una strategia pubblica preventiva. Meno della metà delle Aziende sanitarie (il 40% del campione) dichiara di effettuare azioni di prevenzione del randagismo delle popolazioni (padronali e non) di cani e gatti: i numeri del 2020 ci dicono di 6.888 cani e 19.740 gatti sterilizzati, cifre del tutto insufficienti per una seria politica di controllo demografico se confrontati con il numero dei cani dichiarati entrati nei canili sanitari (36.368), con i gatti presenti nelle colonie feline (313.288).

cani vaganti rappresentano il più significativo costo economico a carico della collettività, oltre che in termini di sofferenza e conflittualità degli animali d’affezione. L’indagine di Legambiente monitora i risultati raggiunti dai diversi territori italiani ogniqualvolta un cane vagante viene “preso in carico” dall’amministrazione pubblica. Ebbene nel 2020, in media, nei Comuni ogni 10 cani catturati 8,8 hanno trovato felice soluzione tra restituzione ai proprietari, adozione e/o reimmissione come cani liberi controllati, con un rapporto di 1:1,4. Ma le situazioni sono differenti a seconda dei territori considerati, come mostrano i casi negativi di Campi Salentina (LE), dove su 5,4 cani entrati nei canili solo uno ha trovato una soluzione; di Sciacca (AG), uno su 4,9; Catania, 1 su 4. Ai poli opposti troviamo Napoli, dove per ogni cane preso in carico, 8,7 hanno trovato una soluzione, anche se in questo caso la quasi totalità dei cani catturati è stata rilasciata sul territorio; Priolo Gargallo (SR), 4 su 1, e Corato (BA), 2 su 1. Per quanto riguarda le Aziende sanitarie, 9 cani su 10 hanno trovato una soluzione felice, ma anche qui le performance variano: su tutte, in negativo, spicca quella dell’ASP Ragusa, dove su 21,5 cani presi in carico nei canili appena uno ha trovato una soluzione. In positivo, si segnala Area Vasta 1 (PU) con 6,6 cani che escono dal canile per uno che entra.

I dati disponibili al 31 dicembre 2020, raccontano di un Nord particolarmente virtuoso sul fronte della popolazione canina ospitata nei canili, con Milano al primo posto, con appena un cane in canile ogni 10.190 cittadini, seguita da Bolzano (un cane ogni 7.703) e da Verona (un cane ogni 7.402). Numeri in positivo che fanno il paio con quelli forniti dalle Aziende sanitarie e che vedono ai primi posti ATS della Montagna (un cane in canile ogni 296 mila abitanti); ATS Insubria (uno ogni 295 mila) e ATS Brescia (uno ogni 96 mila). Ai poli opposti, si segnalano invece i Comuni di Premilcuore (FC) con un cane in canile ogni 9,8 cittadini; Carloforte (SU), un cane ogni 9,6, Fratte Rosa (PS), uno ogni 2,1 cittadini, e le aziende sanitarie ASReM (un cane ogni 271 abitanti), ASL 1 Abruzzo (uno ogni 211), ASL Caserta (uno ogni 185 abitanti).

Ci sono poi le esperienze dei cani liberi controllati (o cosiddetti cani di quartiere), presenti in un Comune su 25: interessante notarne la ripartizione, dato che per ben l’84,6% si trovano al Sud e nelle Isole, con Palermo al primo posto con 3.402 cani liberi registrati, per il 15,4% al Centro, mentre nessun caso si registra al Nord.

Sul fronte dei controlli, poco più di un Comune su cinque (il 21,6%) nel 2020 dichiara di averne effettuati di specifici, da quelli per mancata ottemperanza all’anagrafe canina alla raccolta delle deiezioni. Gravi carenze si registrano poi nell’applicazione di regolamenti e ordinanze a favore di una corretta e serena convivenza con gli amici animali nei centri urbani. Nel 2020 solo il 42,9% dei Comuni dichiara di avere un regolamento per la corretta detenzione degli animali in città, mentre l’accesso ai locali pubblici e negli uffici in compagnia degli amici a quattro zampe è regolamentato in poco più di un Comune su sei. L’arrivo e la sosta di spettacoli che coinvolgono animali sono regolamentati nel 13% dei Comuni, mentre quelli che dichiarano di avere regolamentato botti e fuochi d’artificio costituiscono appena il 7,9%. Poco più di un Comune su otto ha adottato un regolamento contro l’uso illegale di esche o bocconi avvelenati. Poche, ancora, le amministrazioni che hanno approvato regolamenti per facilitare le adozioni nei canili (il 9,6%), e quelle che hanno adottato (il 9,1%) un regolamento per facilitare cremazione, inumazione e tumulazione dei milioni di amici quattro zampe.

Rispetto alle aree cani, luoghi indispensabili nella quotidianità per milioni di italiani, il 34,3% dei Comuni dichiara di avere spazi aperti dedicati agli animali d’affezione, in media uno ogni 13.774 cittadini residenti, come la folla in uno stadio di calcio, quindi tutto fuorché città accoglienti e piacevolmente vivibili. Ma il dettaglio mostra realtà molto differenziate tra loro. In negativo, in particolare, si segnalano Napoli (con un’area cani ogni 79.071 cittadini), Bari (una ogni 18.659), Bologna (una per 15.667). Tra le grandi città più virtuose, invece, si distingue Milano che, per offrire un’area cani ogni 3.411 cittadini, ne ha realizzate 403.

Ancora basso risulta il livello di conoscenza della biodiversità animale che sempre più spesso abita i territori urbanizzati: solo il 7,2% dei Comuni ha una mappatura delle specie animali presenti. A fronte di ritrovamenti sempre più frequenti di animali selvatici in difficoltà, feriti, debilitati o abbandonati, Legambiente evidenzia, inoltre, come in poco meno di un Comune su due (il 48,9%) il cittadino che contatta l’amministrazione riceverà indicazioni puntuali per sapere a chi rivolgersi.

Le richieste di Legambiente.

1) Approvare e fare entrare in vigore, entro il 2022, l’anagrafe unica nazionale per tutti gli animali d’affezione o da compagnia; 2) agevolare la sottoscrizione, entro il 2025, di 1.000 accordi o patti di comunità per costruire reti e alleanze tra amministrazioni pubbliche e soggetti privati per la tutela e la cura degli animali d’affezione e selvatici; 3) arrivare, entro il 2030, a 10 mila veterinari pubblici assunti a tempo indeterminato, per rafforzare il personale in servizio attualmente composto da 4.642 unità, di cui il 78,5% uomini e con età media di 56,9 anni; 4) inaugurare, entro il 2030, 1.000 strutture veterinarie pubbliche, tra canili sanitari e gattili sanitari (uno ogni 50-100 mila cittadini) e ospedali veterinari (uno ogni 300-400 mila cittadini) opportunamente distribuiti sul territorio; 5) realizzare, entro il 2030, un’area cani ogni 1.000 cittadini residenti per garantire una quotidiana qualità della vita a milioni di cittadini nei contesti urbani; 6) aumentare il rispetto delle regole di civile convivenza usufruendo della vigilanza volontaria con l’obiettivo entro il 2030, di formare, aggiornare e coinvolgere 15.000 guardie ambientali e zoofile volontarie.

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