Da sempre gli animali sono presenti in letteratura e affiancano i protagonisti umani all’interno della narrazione. Ecco che Matteo Righetto con “La pelle dell’orso” (Tea, 2017) racconta la caccia all’orso di Pietro Sieff e del figlio dodicenne Domenico che scopre così il linguaggio e il mistero della natura selvaggia.


È interessante notare come il ruolo degli animali sia spesso duplice. Da una parte c’è la storia del “personaggio animale” con le sue vicende e le sue avventure, dall’altra c’è la simbologia che viene attribuita alla creatura non umana. Quasi sempre, infatti, il cane è fedele e affezionato al suo padrone, il gatto è indipendente e imprevedibile, il lupo è pericoloso e aggressivo. Vale la pena evidenziare che non tutti gli animali appartenenti alla stessa specie hanno i medesimi tratti caratteriali e troppo spesso siamo noi umani ad attribuire loro rigidi stereotipi che ci permettono di faticare meno nel cercare di comprenderli. Ammesso che ci venga la voglia di tentare di capirli, almeno un po’.

La simbologia assume dunque un ruolo fondamentale nella vicenda che vede un animale protagonista, o co-protagonista, della storia. Non fa eccezione a questa regola il bel romanzo di Matteo Righetto “La pelle dell’orso”, uscito per la Tea nel 2017 e recentemente ristampato dal Gruppo editoriale Gedi che lo vende in abbinamento ai suoi quotidiani nella collana “Storie di montagna”.

Righetto racconta la caccia all’orso di Pietro Sieff e del figlio dodicenne Domenico tra i boschi delle Alpi venete. I giorni che padre e figlio trascorrono insieme sono per Domenico una continua scoperta della montagna, ma soprattutto un percorso di avvicinamento al padre, attraverso nuovi gesti e nuove parole. E poi c’è lui, l’orso, che in paese chiamano El Diàol (Il Diavolo), un animale enorme e feroce, metafora della pericolosità e del mistero della natura selvaggia. La caccia all’orso diventa per Domenico occasione di crescita, di orgoglio, di apprendimento. Il ragazzino impara ad avere fiducia in se stesso, a contare sulle proprie forze e le proprie capacità. El Diàol, nascosto nelle zone più inaccessibili della foresta, è una creatura gigantesca, silenziosa e invisibile, di cui si indovina la presenza solo per il terribile odore che lo accompagna e che ne anticipa l’arrivo.

Il romanzo di Matteo Righetto trasporta il lettore in un mondo antico ma senza tempo, dove i sentimenti e le sensazioni sono primordiali – paura, freddo, stanchezza, dolore –, dove i silenzi contano quanto e più delle parole. Un mondo maschile, di uomini e ragazzi che devono dimostrare il loro coraggio di fronte ai compagni. Un universo in cui contano la forza delle armi, la parola data, la vittoria di una scommessa.

Nel racconto di Righetto la tenerezza è la medicazione silenziosa e attenta, da parte di Pietro, delle vesciche ai piedi di Domenico, profonde lacerazioni dovute alle lunghe camminate nel bosco alla ricerca del Diàol. Oppure il prendersi cura di due lupacchiotti trovati accanto alla madre morta, che Pepi Zelger, amico di Pietro, porta in casa e addomestica. Ma è anche il sorprendente finale, in cui trovano spazio carezze e lacrime, e la consapevolezza dei limiti del male contrapposto alla forza tranquilla e pura del giovane protagonista.

Matteo Righetto, nato a Padova nel 1972, insegna Lettere alle scuole superiori. Ha pubblicato Savana Padana (2009), Bacchiglione blues (2011), Apri gli occhi (2016) vincitore del Premio della montagna Cortina d’Ampezzo, Dove porta la neve (2017), L’anima della frontiera (2017), L’ultima patria (2018), La terra promessa (2019), Il passo del vento (con Mauro Corona, 2019), I prati dopo di noi (2020). La pelle dell’orso è stata portata sugli schermi nel 2016, interpretato da Marco Paolini e diretto da Marco Segato.

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